IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza  sul  ricorso n. 3582/1993
 proposto da Biasini Gianna, rappresentata e difesa dall'avv.  Antonio
 Funari,  nel  cui studio e' elettivamente domiciliata in Roma, piazza
 Acilia n. 4; contro  il  Ministero  della  Sanita',  in  persona  del
 Ministro   pro-tempore;   l'U.S.L.   n.  6  dell'Aquila,  in  persona
 dell'amministratore straordinario pro-tempore; per l'annullamento dei
 provvedimenti con i quali la  U.S.S.L.  n.  6  dell'Aquila  ha  fatto
 cessare  la  dott.ssa  Biasini dallo stato di incompatibilita' di cui
 all'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1941, n. 412.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Viste le memorie  prodotte  dalle  parti  e  tutti  gli  atti  del
 giudizio;
    Uditi  nella  pubblica  udienza  del  31  maggio  1993 il relatore
 consigliere Dedi Rulli, l'avv. Funari  per  il  ricorrente  e  l'avv.
 Presti  per  la  U.S.L.  intimata  e l'avv. D'Avanzo per il Ministero
 della sanita';
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con provvedimento in data  7  novembre  1992  e  2  dicembre  1992
 l'unita'  socio  sanitaria  locale  n. 6 dell'Aquila ha intimato alla
 dott.ssa Gianna Biasini,  assistente  pediatra  a  tempo  definito  e
 contemporaneamente  convenzionata  per  la  assistenza pediatrica, di
 cessare dalla situazione di incompatibilita' derivante  dal  disposto
 dell'art.  4,  settimo  comma,  della legge 30 dicembre 1993, n. 412,
 facendola successivamente  decadere  dalle  scelte  ottenute  per  la
 pediatria.
    La  norma  applicata  stabilisce  che  con  il  servizio sanitario
 nazionale puo' intercorrere un unico rapporto di lavoro.
    Avverso  tale  provvedimento  e'  stato  proposto  il  ricorso  in
 epigrafe   con   il   quale  si  deduce  una  articolata  censura  di
 illegittimita'  derivata,  sostenendosi  il  contrasto  dell'art.  4,
 settimo  comma,  della  legge  30  dicembre 1991, n. 412, con diversi
 principi costituzionali.
    Si denuncia in primo luogo la violazione degli artt.  3,  4  e  35
 della  Costituzione  in  quanto  il  citato  art.  4  settimo  comma,
 determinerebbe una ingiustificata disparita'  di  trattamento  tra  i
 medici  che esercitano l'opzione per la conservazione del rapporto di
 impiego e quelli che scelgono il rapporto convenzionale, posto che ai
 primi viene riservato un trattamento di gran  lunga  piu'  favorevole
 rispetto  ai  secondi,  ai quali si impone una drastica riduzione del
 proprio reddito.
    In tal modo, la facolta' di scelta  tra  i  due  rapporti  sarebbe
 soltanto apparente con la conseguenza che al medico che collabora con
 il  servizio  sanitario  nazionale viene sostanzialmente impedita una
 modalita' di esercizio della professione.
    La violazione dell'art. 3 viene prospettata anche in  collegamento
 con  l'art.  97 della Costituzione sotto il profilo del difetto della
 ragionevolezza  della  norma  impugnata,  poiche'  la  regola   della
 incompatibilita'  non  sarebbe in grado di garantire un maggior grado
 di efficienza del servizio sanitario nazionale.
    Il difetto  di  ragionevolezza  sarebbe  altresi'  ravvisabile  in
 relazione  al d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge
 n. 438/1992, che ha sospeso per tutto il 1993 il diritto dei pubblici
 dipendenti di chiedere il collocamento in quiescenza. Ove infatti  il
 medico  avesse  inteso  optare  per il rapporto convenzionale avrebbe
 dovuto farlo entro il 31 dicembre 1992, ma a  tale  data  non  poteva
 conseguire la pensione per effetto delle norme sopra ricordate.
    Anche   per   tale   ragione   la  pretesa  "opzione"  non  poteva
 considerarsi una reale facolta' di scelta.
    Si rileva poi che alla data del 31  dicembre  1992  con  la  quale
 entrava  in vigore il regime di incompatibilita' non era stato ancora
 stabilito l'obbligo per le scritture sanitarie pubbliche di  reperire
 gli  spazi  per  l'esercizio  della  professione libera intramuraria,
 obbligo imposto solo con il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502,  entrato
 in vigore dopo la scadenza del termine per opzione.
    La  scelta  del medico non poteva dunque considerarsi effettuabile
 sulla base di dati certi e completi.
    Si denuncia infine la violazione dell'art. 81  della  Costituzione
 atteso  che  la  disposizione  impugnata  non  reca  alcuna copertura
 finanziaria pur comportando sicuramente un aggravio di  spesa  dovuto
 al  passaggio  del  personale  medico dal servizo a tempo definito al
 rapporto a tempo pieno.
    L'amministrazione intimata si e' costituita in giudizio  chiedendo
 il rigetto del gravame.
                             D I R I T T O